La diffusione del coronavirus in tutto il mondo ci obbliga a reprimere il nostro bisogno di relazione, un impulso profondamente umano radicato nell’evoluzione: vedere gli amici, aggregarsi in gruppi, stare l’uno vicino all’altro. Simona Cardinaletti, psicologa e responsabile Polo9 dell’ambito Disagio Adulto, ci accomapagna in una riflessione sull’isolamento, una condizione innaturale che metta a dura prova la capacità umana di cooperazione.
Il Covid – 19 c’impone l’isolamento, la distanza dagli altri in virtù del pericolo del contagio. In questa prospettiva l’altro lo possiamo vivere come fonte di contagio e quindi qualcuno da cui proteggersi oppure come qualcuno che potremo contagiare e quindi da proteggere. Il modo in cui decidiamo di guardare l’altro, dipende da come abbiamo strutturato il nostro mondo interno prima del Covid. Ci sentivamo di vivere in un mondo sicuro sia dal punto di vista dell’ambiente fisico che delle relazioni? Il senso di sicurezza ci permette di essere progettuali, di proiettarci nel domani con la certezza che le cose fondamentali non cambieranno. Ci sentivamo invece, di vivere in un mondo in cui è importante guardarsi sempre le spalle, stare attenti a che gli altri non ci invadano nel lavoro, negli affetti, nel nostro privato? Questo ci porta a vivere continuamente all’erta, attenti più a difenderci che a metterci in gioco. Ora il Covid – 19, nostro malgrado, mette allo scoperto il nostro modo di vivere nel mondo, proprio attraverso questa crisi; il dizionario porta come definizione di crisi “Perturbazione o improvvisa modificazione nella vita di un individuo o di una collettività, con effetti più o meno gravi e duraturi” che è esattamente quello che ci sta accadendo.
Etimologicamente la parola crisi deriva dal greco “Krisis” che significa “scelta, decisione”. Tutto questo per dire che questo momento oltre a causare tragedie e drammi: i decessi, l’isolamento, la crisi economica incombente, crea la possibilità di scegliere altro, rispetto a prima. L’effetto più terribile di questa pandemia, sarebbe quello di non indurre nessun cambiamento, ma di lasciarci più poveri (economicamente e relazionalmente), arrabbiati e rivendicativi. Per evitare questa, che sarebbe la vera catastrofe, le cooperative sociali, il mondo del volontariato, in poche parole il terzo settore, ha un compito fondamentale seppure arduo: continuare a fare ciò che ha fatto in questa situazione. Non arrendersi, non perdere la fiducia nelle proprie capacità e in quelle dell’altro, continuare a credere nelle persone e nell’inviolabilità del loro valore. Farsi portavoce di un modo di vivere “sicuro” dal punto di vista delle relazioni perché, e il Covid – 19 ce lo ha dimostrato, solo se andiamo tutti nella stessa direzione si vincono le battaglie, anche stando lontano ma tutti con lo stesso obiettivo. L’isolamento fisico non corrisponde necessariamente all’isolamento relazionale; spesso ci si sente soli in mezzo a tanta gente, perché non ci sentiamo parte di qualcosa che è più grande di noi e che senza di noi è comunque incompleto.
Concetto espresso in modo sublime da questi versi di Jhon Donne:
“Nessun uomo è un’Isola,
intero in se stesso.
Ogni uomo è un pezzo del Continente,
una parte della Terra.
Se una Zolla viene portata via dall’onda del Mare,
la Terra ne è diminuita,
come se un Promontorio fosse stato al suo posto,
o una Magione amica o la tua stessa Casa.
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