Davide Battistoni, coordinatore polo9, racconta l’emergenza coronavirus vissuta nelle comunità di San Cesareo e Fenile, dove i nostri colleghi continuano il loro lavoro nelle strutture residenziali dedicate alle persone affette da dipendenze patologiche.
Davide, che ripercussioni sta avendo il Coronavirus sui nostri servizi e nelle nostre strutture? Avete cambiato ritmi, svolgete nuove attività?
Il COVID-19 ha stravolto la vita di tutti noi. All’inizio qualcuno ha sottovalutato il problema anche per difendersi dalla paura… Oggi, questo non è più possibile per nessuno.
Anche noi abbiamo dovuto apportare cambiamenti. Il primo è stato quello della chiusura delle comunità: nessuno è potuto più uscire e nessuno è potuto entrare. Solo gli operatori possono accedere e uscire per darsi il cambio. Questo per le nostre comunità polo9 è un isolamento che solo fino a qualche settimana fa sarebbe stato impensabile! Le nostre comunità si caratterizzano da sempre proprio per quell’apertura al mondo esterno. Ora non è possibile e ci siamo adeguati alle norme di sicurezza. Una condizione nuova che ci fa sentire fragili e insieme responsabili. Una responsabilità non solo personale ma di gruppo.
Che cosa fanno i ragazzi?
I nostri ospiti hanno implementato pulizie extra della casa: pulizie dei bagni e di tutte le maniglie delle porte. Sono meticolosi e ci mettono molta cura e attenzione. Rispettano le indicazioni in merito alle distanze da mantenere anche durante il pranzo e la cena.
E le giornate? Come le trascorrete?
Abbiamo aumentato i momenti di svago e di gioco, mantenendo occasioni di riflessione, di dialogo e di scambio reciproco, ma mai come in questo periodo il gioco delle bocce ha riscontrato tanto successo! Poi ping pong, scacchi, biliardino…. Insomma tanti momenti di svago accompagnati da altri che ci riportano alla responsabilità personale e sociale. Non mancano momenti di tensione e di stanchezza, ma abbiamo la grande fortuna di essere circondati da tanto verde ad uso esclusivo da cui possiamo trarre pace, forza ed energia.
La relazione: come è vissuto questo nuovo modo di stare insieme? Quale clima si respira?
Le emergenze e i pericoli in generale possano far uscire il peggio dell’uomo come egoismo, disinteresse, il si salvi chi può… ma anche il meglio di quello che la nostra civiltà può esprimere: la condivisione, l’attenzione l’aiuto, l’umanità. Ed è quello che stiamo sperimentando ogni giorno. Noi operatori abbiamo la fortuna di poter vedere come i ragazzi esprimono il loro desiderio di vicinanza, come sono l’uno di conforto all’altro. In questo periodo sono stati messi da parte problemi e tensioni legate a questioni personali. Si cerca il conforto, il sostegno degli altri. E’ più forte il senso di appartenenza ad una comunità.
E voi operatori? come è il vostro tornare a casa dalle vostre famiglie?
Tensione e paura in questo momento albergano più in noi che nei nostri utenti. Sappiamo con maggiori dettagli ciò che sta succedendo nel nostro territorio, quando qualcuno che conosciamo risulta negativo o veniamo a sapere che quella persona ci ha lasciato: non è facile rimettere un mantello di serenità e tornare a lavorare.
Sentiamo la necessità e la profonda responsabilità di garantire il “benessere” dei nostri utenti ma anche quello di preservare noi stessi e le persone che amiamo. Tutto questo è lacerante. Molto pesante.
Che rapporto si è creato fra colleghi?
Con profondo e sincero orgoglio posso affermare di lavorare con colleghi che si dimostrano sempre pronti e attenti nel mantenere alta la qualità del lavoro e dei servizi nelle nostre sedi così come il morale.
Qual è il desiderio più intenso che si respira?
Speriamo di poter tornare quanto prima a vivere, non con la stessa insensata velocità di prima, ma con maggiore serenità.
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